Percorsi Architettonici - Borbonici

(4 gennaio 2016 - a cura di Arch. Graziella Carotenuto)

Tra il XVIII e il XIX secolo, la dinastia borbonica napoletana diede un importante impulso all’architettura del Regno, mutando e caratterizzando il paesaggio urbano e suburbano: vennero realizzati nuovi Siti Reali e Casini di caccia, ville, teatri, chiese, piazze, ponti, acquedotti, porti.


I BORBONE DI NAPOLI

Il 10 Maggio 1734, il diciottenne don Carlos di Borbone entra trionfante nella città di Napoli rendendola nuovamente capitale di uno Stato sovrano e indipendente, dopo circa due secoli di viceregno spagnolo e trenta di dominazione austriaca.

Carlo, figlio primogenito di Filippo V di Spagna e della sua seconda moglie, la principessa Elisabetta Farnese, ultima erede di un illustre casato, non poteva aspirare al trono di Spagna, spettante al primogenito di primo letto del Re; mentre, per discendenza materna, era l’erede della doppia successione dei Farnese e dei Medici.

Pertanto Carlo di Borbone, già duca di Parma, Piacenza e Castro, nonché gran principe ereditario del Granducato di Toscana, il 3 luglio fu incoronato re di Napoli e di Sicilia nella cattedrale di Palermo. Avrebbe dovuto essere re con l’appellativo di Carlo VII di Napoli, tuttavia optò per un semplice Carlo rifiutando la numerazione, proprio per sottolineare di essere re di uno stato autonomo e indipendente dalla Spagna: nasce la dinastia dei Borbone di Napoli, che regnerà sino al 1860.

Dopo circa duecentotrenta anni di malgoverno vicereale, con l’avvento di Carlo si determinano le condizioni socio-politiche per un’effettiva ristrutturazione della città e per una sua trasformazione edilizia, indispensabile per adeguare Napoli al nuovo rango di capitale di un Regno autonomo e indipendente.

La precedente politica edilizia spagnola aveva soffocato l’espansione della città attraverso leggi restrittive – le prammatiche sanzioni – abolite soltanto nel 1717, che impedivano nuove costruzioni fuori le mura. Nonostante la presenza di molti edifici religiosi e palazzi nobiliari, al contrario era carente di edilizia pubblica e lo stesso palazzo vicereale (oggi palazzo reale) si trovava in uno stato di totale abbandono. La città aveva un tono provinciale e furono fatti immensi sforzi per dotarla delle necessarie strutture rappresentative.

Ha inizio un’opera di complessivo riassetto urbanistico ed architettonico: la decaduta importanza delle mura, fino alla demolizione di alcune porte cittadine, e la liberalizzazione delle costruzioni extra moenia diedero avvio all’espansione urbana e vennero intraprese opere architettoniche di grande rilievo, avvalendosi dell'opera dei maggiori architetti e artisti dell'epoca. Si risveglia una forte identità nazionale e nel settecento borbonico la capitale acquista un carattere europeo anche culturale, rivaleggiando con le metropoli di Londra, Vienna e Parigi.


REGGIA DI CAPODIMONTE

Il primo importante intervento urbano di Carlo ad uso della Corte è la realizzazione della Reggia di Capodimonte. Il re, appassionato cacciatore, decise di creare una grande riserva di caccia.

La collina di Capo di Monte, vicina alla città e ricca di boschi, abbondante di beccafichi, era allora un luogo ameno di villeggiatura con ville, masserie e casolari sparsi nel verde e un piccolo villaggio raccolto intorno alla piccola chiesa cinquecentesca di Santa Maria delle Grazie, come descrivono le guide dell’epoca. Conservava ancora quel carattere incontaminato, che invece l’intera città storica aveva perduto, per la difficoltà a raggiungerla per il ripido sentiero dei Cristallini, che si inerpicava verso l’alto seguendo un tortuoso percorso in mezzo alla campagna dal sottostante borgo dei Vergini.

Carlo diede incarico di organizzare l’acquisto delle terre necessarie per esercitare la sua attività venatoria.

In realtà, le cacce reali hanno rappresentato per secoli un aspetto peculiare della vita delle corti europee in quanto avevano anche una funzione di Stato. Ciò giustificava il diritto dei sovrani ad acquisire vaste estensioni di terreno attraverso espropri, permute o acquisti. Così, all’inizio dell’età borbonica, nacque l’espressione Siti Reali per definire quegli insediamenti caratterizzati da un territorio popolato di selvaggina, di piuma e di penna, e riservato alla caccia del re, con annessi edifici per consentire la permanenza, durante le giornate di caccia, al sovrano e al suo seguito, compreso il pittore di corte che immortalava gli eventi.

Conclusi gli acquisti dei terreni ed operate diverse demolizioni, Carlo fece delimitare la nuova proprietà con una cinta muraria e contestualmente diede incarico di progettare la costruzione, su uno spianato nelle immediate vicinanze, di un edificio come riparo dalla caccia.


Il Palazzo

Rapidamente maturò l’idea di modificare la destinazione del casino di caccia, procedendo alla duplice realizzazione della residenza di corte, per esprimere la potenza e la magnificenza della nuova monarchia regnante, e della sede espositiva delle preziose collezioni farnesiane materne.

Il progetto fu affidato all’ingegnere militare del Regno Giovanni Antonio Medrano, coadiuvato inizialmente dall’architetto Antonio Canevari, e il 9 settembre 1738 si pose la prima pietra del nuovo palazzo regale, che terminerà soltanto nel secolo successivo.

Dapprima il ritmo dei lavori fu molto rapido, poi subì un progressivo rallentamento per molteplici fattori: le dispute tra i due progettisti, le complessità tecniche costruttive per adattare le fondazioni dell’edificio ad un suolo accidentato, la difficoltà a trasportare il materiale, nonché l’avvio contemporaneo della costruzione della Reggia di Caserta.


Il Bosco

Nel mentre, il progetto del bosco, all’epoca ancora diviso dalla dimora reale da una strada pubblica, fu affidato all’architetto Ferdinando Sanfelice, che creò un’opera di architettura del paesaggio, tra visione prospettica di matrice illuminista e impianto scenografico di cultura tardo barocca.

L’ingresso principale era Porta di Mezzo, l’area ellittica ricca di statuaria, da cui parte un sistema compositivo a ventaglio di cinque lunghissimi viali fiancheggiati da alberi disposti regolarmente ed intersecati da viali minori con sistemazione arborea, pensata in funzione dei diversi tipi di selvaggina e tecniche venatorie, offrendo improvvise e scenografiche prospettive.

Ma non è né un giardino alla francese, né un parco all’inglese: è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.

E fu lo stesso Sanfelice a provvedere all’adattamento di un fabbricato già presente nel bosco, per trasferirvi la manifattura delle porcellane, la più celebre tra le manifatture del Regno, avviata dal re borbonico a Palazzo Reale nel 1743. La Real Fabbrica di Capodimonte (oggi sede dell’Istituto professionale Caselli) fu dismessa nel 1759 alla partenza di Carlo per la Spagna; ma ben presto il figlio Ferdinando IV inaugurerà una nuova e differente manifattura di porcellane, la Real Fabbrica di Napoli, ma in una sede diversa.

Contestualmente, l’architetto progettò ex novo la piccola chiesa dedicata a San Gennaro, posta proprio di fronte all’opificio, per la numerosa comunità del bosco. Infatti, vi erano altri edifici sparsi nel verde e destinati a svaghi reali o scopi produttivi diversi: un sistema economico – finanziario virtuoso con masserie organizzate e manifatture calibrate alle risorse peculiari del luogo, ma sono stati modificati nel tempo e riconvertiti a nuovi utilizzi.

La Reggia, con la sua mole incombente su Napoli, aveva indubbiamente creato un episodio di grande importanza paesistica in rapporto all’intera struttura della città. Tuttavia la sua presenza non attuò subito le premesse per lo sviluppo urbano della zona che un adeguato collegamento con la città storica avrebbe favorito. Tale difficoltà scoraggiò l’uso abituale della residenza reale e sia il Palazzo che il villaggio di Capodimonte si inseriscono nel tessuto cittadino soltanto nel successivo periodo napoleonico, con la realizzazione del ponte per superare il dislivello del vallone della Sanità e la costruzione di corso Napoleone (oggi via S. Teresa degli Scalzi e Corso Amedeo di Savoia) inaugurato nel 1809.

Al ritorno di Ferdinando I di Borbone nel 1816, il Palazzo viene completato e diventa sede favorita dalla corte; i dipinti rinascimentali della Collezione Farnese trovano sistemazione definitiva a Capodimonte mentre le opere classiche, insieme ai reperti recuperati dagli scavi di Ercolano e Pompei, confluiscono nel Real Museo Borbonico (oggi MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli).

Il bosco si amplia ulteriormente, acquisendo altri terreni e masserie, e si arricchisce di piante esotiche; si modificano o costruiscono nuovi fabbricati; si ridisegna lo spianato antistante il Palazzo, esaltando la veduta del golfo e del Vesuvio; si costruisce la cinta muraria intorno allo spianato, che finalmente unisce il bosco al palazzo, e vengono aperte nuove porte di accesso alla Reggia: Porta Grande sulla strada dei Ponti Rossi e Porta Piccola sulla strada per Miano.

Anche i Savoia prediligono Capodimonte quale residenza reale. Si compiono lavori di restyling secondo il gusto dell’epoca e nuove acquisizioni di dipinti e oggetti d’arte contemporanea vengono aggregate alle collezioni farnesiane e borboniche, consolidando la primordiale vocazione di reggia-museo.

Durante l’ottocento, la collina inizia a popolarsi di ville aristocratiche e palazzi signorili (Villa Capriccio e Villa Flagella), con giardini all’inglese, terrazze belvedere e torri (Palazzo del Palasciano); masserie produttive, frutteti e vigneti, conservando ancora il carattere bucolico primordiale; fabbriche di porcellana della tradizione carolina si sviluppano lungo il nuovo asse viario dei Ponti Rossi, che collega il colle alla zona orientale della città vecchia. La posizione in altura, favorisce la costruzione nel 1812 di un struttura per lo studio dell’astronomia (Real Osservatorio Astronomico), il primo in Italia.

Il novecento è il periodo di maggiore inurbamento. La popolazione residente aumenta e si costruiscono nuove chiese (Chiesa del Buon Consiglio); vengono valorizzate le cave tufacee delle Catacombe paleocristiane di San Gennaro extra moenia e virtualmente è ripristinato il collegamento con la Sanità, reciso dalla costruzione del ponte murattiano; si realizzano le Scale della principessa Jolanda, migliorando il collegamento pedonale con la Reggia, ma non vengono costruite nuove strade di comunicazione con il centro della città. 

Nonostante il persistere dell’isolamento, Capodimonte rimane un luogo affascinante e ricco di storia. 

Il maggiore attrattore turistico è la Reggia, testimonianza di uno tra i più felici momenti della cultura settecentesca, in cui convivono e dialogano natura e architettura.

Il Palazzo è dal 1957 sede del Museo Nazionale di Capodimonte, una delle pinacoteche più importanti del mondo, dove si possono ammirare anche le produzioni della Real Fabbrica di Capodimonte e della Real Fabbrica di Napoli; mentre il Bosco, con i suoi centotrenta ettari, costituisce il più grande parco urbano e nel 2014 è stato il vincitore del Premio “Il Parco più bello d’Italia”.

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